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L'imperdibile mostra di sculture iperrealistiche al Museo Arken (programmazione 2017)

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"Gys! Er den levende?" è il titolo dell'attuale mostra al Museo Arken. Un titolo che simula quell'esclamazione di brivido e terrore da parte di chi si trova davanti a qualcosa che sembra umano e vivo, ma che in realtà non lo è. L'esposizione conta di 39 opere di 31 artisti che prendono la forma di sculture iperrealistiche. "Accidenti! È vivo?" è quello che spontaneamente ci si chiede durante la visita all'esposizione curata da Naja Rasmussen e disponibile fino al prossimo 6 agosto. Quel che centinaia di anni fa i pittori riuscivano a raggiungere grazie alla loro maestria nell'utilizzo dei colori e al loro studio sulla luce, oggi viene riproposto grazie all'uso di materiali quali la cera, la resina di uretano e di poliestere, ma soprattutto il silicone. Il progetto dietro alla mostra ingloba molteplici aspetti ed invita ad una profonda riflessione sull'essere umano e sulle sfide a cui esso è esposto oggigiorno.

Le prime opere si presentano come un trionfo della meraviglia del corpo umano pur senza proporre la bellezza ideale, la perfezione. L'occhio rimane incantato dalla precisione con cui ogni dettaglio appare curato: le rughe della donna anziana che tiene il bebè sul suo grembo, le vene sulla pelle di Ariel che si guarda allo specchio, e ancora le pieghe sulla pianta dei piedi, le grinze sulla fronte, le imperfezioni cutanee, le unghie. Un esempio che indaga la fruizione di un momento universalmente famigliare è quello di Woman and child dello scultore australiano Sam Jinks.

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Sam Jinks, Woman and child, 2010.

Proseguendo si scorgono opere che rivelano un tono di critica e denuncia nei confronti della società, americana perlopiù. Ne sono esempi La donna nell'angolo di Marc Sijan e I due lavoratori di Duane Hanson (Tourists  II, 1988, è probabilmente la sua opera più conosciuta).

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Marc Sijan, Cornered, 2011.

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Duane Hanson, Two workers, 1993.

L'opera più provocatrice è forse Ave Maria di Maurizio Cattelan. Sulla parete bianca sono appese, quasi come dei trofei di caccia, tre braccia, la cui posizione rimanda a quella del saluto nazista e fascista. Le braccia indossano però un abbigliamento che è riconducibile a quello degli uomini d'affari: giaccia e camicia. Di chi ci sta parlando l'autore? Di un'autorità politica? Ecclesiastica? Del capitalismo? L'opera vuole spianare la strada alla discussione sulla consegna di se stessi a qualcosa più grande di noi e lo fa con immensa ironia, così com'è tipico dell'artista.

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Maurizio Cattelan, Ave Maria, 2007. Foto presa da www.wikiart.org.

La mostra indaga anche questioni etiche con riferimento, per esempio, all'ingegneria genetica, alla clonazione genica e all'intelligenza artificiale. È il caso di Lili di Jamie Salmon che si mostra quale conchiglia vuota. Lili ha un viso così bello e dolce che qualsiasi osservatore potrebbe innamorarcisi. Basta poco per scoprire che dietro a quei grandi occhioni non c'è nulla, la sua testa è concava. La provocazione che lancia Lili mi fa pensare a due film. Il primo è Her (2013) in cui il protagonista si innamora del suo computer; il secondo è Ex Machina (2015) che racconta la storia di un robot che per la sua intelligenza e sensibilità assomiglia ad un essere umano. That girl di Paul McCarthy si inserisce nel contesto del dibattito relativo alla clonazione. L'opera consiste in tre sculture modellate sulla figura dell'attrice americana Elyse Popper. Ogni scultura assume una posizione diversa e così veicola la curiosità dell'osservatore su dettagli diversi del corpo della modella. Osservandole riflettiamo sulla realizzabilità e morale della clonazione umana. (Per rispettare la privacy dell'attrice vivente non è stato possibile fotografare l'opera That Girl).

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Jamie Salmon, Lili, 2013.

Gys! Er den levende? è emblematica dell'arte contemporanea poiché assume significato attraverso la fruizione attiva da parte dello spettatore, che in questo caso è particolarmente accentuata per il tipo di opere e i temi che vengono affrontati. In concomitanza con l'apertura della mostra, il giornalista danese Rune Gade ha scritto su Politiken che l'esposizione non fa altro che creare un grande senso di brivido e vuoto interiore. Al contrario, io credo che le 39 opere esposte raccolgano l'umanità e ci facciano sentire uno vicino all'altro. La mostra offre una possibilità unica per misurarsi con se stessi e con le scelte che prendiamo, una possibilità per valorizzare il nostro corpo e la sua unicità. Ci sono sicuramente lavori che indagano una profonda malinconia di vivere e in alcune sale ci si trova davanti a cose che si preferirebbe non vedere: un uomo disteso dalla tonalità cadaverica, un corpo adagiato su di un cuscino che pare uscito da una tela di Goya, e ancora, una donna-frigorifero. Ciò nonostante quella a cui ci invita il museo Arken è un'esperienza esistenziale, un'occasione per soffermarsi su di noi, quali esseri umani, creature meravigliose. In una società dominata da frenesia e disattenzione, trascorrere qualche ora ad osservare i dettagli di statue quasi umane scaturisce la riconsiderazione di se stessi e della propria vita.

Se vi trovate a Copenaghen vi invito dunque a non perdervi la mostra. Se volete conoscere altre sculture iperrealistiche, allora visitate anche il Museo ARoS ad Århus. Lì troverete il celebre Boy di Ron Mueck così come la Fucked couple di Tony Matelli. E se avete bisogno di una guida che vi illustri le opere, sapete chi contattare ;)

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